Gennaio 2009

Obama: Illusioni e realtà

Il 5 novembre 2008, Barak Obama ha ottenuto una vittoria schiacciante. Il primo presidente nero degli Stati uniti ha ottenuto una maggioranza decisiva del voto popolare. Al tempo stesso, i democratici hanno una maggioranza in grado di controllare il Congresso . Questo risultato è l'espressione di un voto massiccio a favore di un cambiamento e di un rifiuto del regime di Bush. L’opposizione alla guerra in Iraq si è unita al rigetto anche più arrabbiato di una politica liberista estrema e disastrosa. Ricamando un messaggio di speranza e cambiamento, Obama ha suscitato grandi aspettative.

Obama si insedierà con un patrimonio enorme di credito politico interno e esterno (diversamente da Bush nel 2004 ). Sicuramente il nuovo presidente godrà di un periodo di “luna di miele” ma si troverà subito messo alla prova. Dovrà venire alle prese con una delle peggiori crisi economiche dagli anni ‘30 . Contemporaneamente, l'imperialismo statunitense sta affrontando la situazione internazionale più instabile e pericolosa dalla seconda guerra mondiale.

Già quando festeggiavano la sua vittoria, Obama e i suoi consiglieri cominciavano “uno sforzo per ridurre le aspettative eccezionalmente grandi dei suoi sostenitori… Anche se l'energia dei suoi fautori potrebbe rappresentare uno straordinario vantaggio quando Obama lavorerà per realizzare la sua agenda... i suoi collaboratori hanno detto che vogliono moderare le speranze che lui possa velocemente e facilmente risolvere i problemi predominanti del Paese o rovesciare completamente la politica del presidente George. W. Bush, soprattutto a causa della flessione economica”. (International Herald Tribune, 7 novembre 08)

È probabile che Obama annunci di misure immediate che segneranno un cambiamento nei confronti del regime di Bush. Il carcere di Guantanamo verrà probabilmente chiuso. È anche possibile che siano introdotte misure per limitare i pignoramenti e per proteggere i posti di lavoro nell'industria automobilistica. Qualche provvedimento esecutivo deciso da Bush all'ultimo momento sarà annullato. Tuttavia quale percorso seguirà Obama per quanto riguarda la politica economica e quella estera?

La politica economica di Obama

Durante la campagna elettorale, Obama nelle sue relazioni ha dato molta enfasi al problema di coloro che fronteggiano il pignoramento, la perdita del posto di lavoro o la mancanza di assistenza sanitaria. John McCain, poiché è stato collegato alla politica liberista estrema del regime di Bush, è diventato un bersaglio facile. Obama ha promesso di affrontare i problemi della gente commune. Ma le sue proposte politiche sono state molto limitate o estremamente vaghe.

Obama ha promesso, nel corso di 10 anni, un pacchetto di 150 miliardi di dollari per il risparmio energetico e per creare posti di lavoro ‘verdi’. Ha anche proposto una spesa di 60 miliardi in 10 anni per le infrastrutture, la manutenzione delle strade, dei ponti, delle scuole ecc., nonché agevolazioni fiscali (4.000 dollari all’anno per le tasse scolastiche, 3.000 per gli asili nido e 7.000 per l'acquisto di auto ecologiche). Le tasse verrebbero aumentate per chi guadagni oltre 250.000 dollari all'anno e ridotte per la maggioranza dei salariati.

Obama ha anche promesso interventi per evitare i pignoramenti ma finora non ha spiegato quali sarebbero concretamente le misure. Propone sussidi statali per pagare l'assicurazione sanitaria, ma ciò significherebbe conservare di fatto un sistema sanitario privato.

In ogni caso, vista la profondità dell'attuale crisi economica, questa spesa avrebbe un effetto molto limitato.

In effetti, queste politiche sono state superate da una crisi economica senza precedenti che colpisce gli Stati uniti e il capitalismo globale. A quanto pare il pacchetto di stimolo sarà molto più grande di quello previsto durante la campagna elettorale- intorno a mille miliardi.

Per quello che riguarda l'intervento statale è difficile predire fino a qual punto andrà Obama. Ma sarà possibile superare la crisi del capitalismo statunitense, che è l'espressione di una crisi globale, mediante un enorme pacchetto di stimolo?

Non c'è dubbio che degli enormi pacchetti di spesa attenuerebbero gli effetti immediati della crisi, sostenendo un certo livello di consumo e ammortizzando la disoccupazione. Inizialmente, tali pacchetti di stimolo dovrebbero essere finanziati da ulteriori prestiti statali o dall’emissione della moneta. In realtà il credito dipenderebbe dalla volontà dei investitori stranieri di comprare le obbligazioni del governo statunitense, volontà che non sarà illimitata. Dall'altro canto, fare stampare moneta spalancherebbe la porta all'inflazione che si innalzerebbe vertiginosamente. A un certo punto, il grande capitale negli Stati Uniti chiederebbe una riduzione drastica del deficit, cioè una combinazione di tagli alla spesa e tasse più alte. Inoltre, benché un pacchetto di stimolo possa dare uno slancio a breve termine alla crescita, una ripresa prolungata dell'economia capitalista dipenderebbe dal ristabilimento della redditività della classe capitalista.

Dovremo prepararci a una svolta nella politica economica del capitalismo statunitense. Qualunque misura prenda Obama per mantenere i posti di lavoro, per espandere il welfare e per creare lavoro a “basso consumo di energia”, sarà popolare fra ampie fasce di cittadini. Un intervento di tipo keynesiano da parte del governo federale - assieme a misure analoghe prese dai maggiori governi capitalisti a livello internazionale - potrebbe almeno costituire un fondo contro la recessione, permettendo così una ripresa successiva. Pur evitando un crollo catastrofico (paragonabile alla depressione del 1929-'33 negli Stati uniti) le misure statali non impediranno un alto livello di disoccupazione, di pignoramenti e di povertà. È probabile che qualsiasi ripresa sia lenta e debole per quello che riguarda i lavoratori.

Qualunque sia l'effetto dell'intervento statale a breve termine, anche un gigante pacchetto di stimolo non supererebbe la crisi strtturale del capitalismo, cioè la debolezza dell'investimento in nuove forze produttive e la cronica crisi della redditività. Fondamentalmente, l'intervento statale punterà a salvaguardare il capitalismo e non a trasformare la società. La conservazione dell'ordine capitalista sarà l'obiettivo principale. Qualunque vantaggio per i lavoratori sarà secondario.

Le speranze che si stanno investendo attualmente su Obama verranno velocemente messe alla prova e, all'avanzare degli avvenimenti, ci sarà disillusione verso un presidente che in definitiva rappresenta il partito delle grandi imprese.

La crisi in atto provocherà enormi lotte nella società statunitense. I lavoratori, i giovani, le minoranze che hanno votato Obama per mancanza di un’alternativa, riconosceranno sempre più la necessità delle idee, di una e di organizzazioni democratiche che rappresentino gli interessi della classe lavoratrice.

La Politica Estera

Internazionalmente, come negli Stati Uniti, la vittoria di Obama ha suscitato enormi aspettative. La sua vittoria è stata festeggiata con un entusiasmo di massa in molto paesi e continenti. Ciò è dovuto in parte al contrasto con Bush, e in parte all'entusiasmo per un leader nero, che si presenta come un liberal con un'esperienza più cosmopolita. I dirigenti capitalisti, sia delle maggiori potenze sia dei piccoli Stati, credono che Obama abbia una maggiore comprensione dei loro interessi e problemi. Credono che la sua presidenza possa ristabilire in parte il soft power- diplomazia, influenza culturale ecc. - distrutto dalla politica dell'intervento militare preventivo promossa da Bush (durante il suo secondo mandato Bush, seguendo Condoleeza Rice, è stato costretto a ricorrere maggiormente alla diplomazia, ma era ormai irrevocabilmente screditato per l'intervento in Iraq e in altri paesi).

L'autorità di Obama, però, sarà velocemente messa alla prova. A eccezione di Franklin D. Roosevelt durante la seconda guerra mondiale, è difficile pensare a un presidente statunitense che abbia affrontato tanti problemi internazionali tanto difficile da trattare.

Durante la sua campagna Obama ha promesso che gli Stati Uniti si sarebbero dall'Iraq entro 16 mesi. Questo ritiro, tuttavia, si riferisce alle truppe combattenti, mentre le altre forze statunitense rimarranno per addestrare le truppe irachene e con una funzione di sicurezza. Il Financial Times (5 novembre 2008) ha commentato che “qualche ufficiale dell'esercito discute in privato che lui, dopo avere assunto la responsabilità della guerra iniziata da George W Bush, dimostrerà più flessibilità rispetto ai tempi del ritiro”. Inoltre, le tensioni crescenti fra i tre elementi principali della società irachene, le forze shiite maggioritarie, la minoranza sunnita e i curdi, potrebbero significare che le forze statunitense in via di ritiro potrebbero effettuare un'azione di retroguardia su tre fronti.

Per giunta Obama si è impegnato ad aumentare le forze combattenti in Afghanistan. Anche il generale David Petraeus, dirigente della Surge in Iraq (il piano lanciato da Bush nel 2007 per assicurare maggiore sicurezza a Baghdah e alla provincia di Al Anbar mediante l'aumento delle truppe Usa. N.d.T.), ammette che l'insurrezione in Afghanistan è molto più complicata e difficile da affrontare. Vista l'escalation che ha previsto in Afghanistan, Obama si sta immergendo sempre più profondamente in un pantano per l’imperialismo statunitense, un pantano anche peggiore dell'attuale. E' già molto impopolare in Pakistan a causa del suo sostegno all'intervento militare statunitense nelle regioni poste al confine di questo paese.

Quanto all'Iran, Obama ha detto che non sosterrebbe “accanitamente una politica di cambiamento di regime soltanto per il gusto di un cambiamento di regime”. Ma, allo stesso tempo, ha detto che gli Stati Uniti “aspettano un cambio di atteggiamento e ci sono sia il bastone che la carota per cambiare l'atteggiamento dell'Iran”. Chiaramente, dietro questa ambiguità rimane la minaccia del possibile utilizzo di forza militare contro il regime iraniano.

Poche ore dopo la vittoria di Obama, il presidente russo, Dmitry Medvedev, ha annunciato che la Russia collocherebbe missili a Kaliningrad per controbattere quelli statunitensi di stanza in Polonia ecc. - a meno che gli Stati Uniti non abbandonino il loro sistema di difesa anti-missile. Obama, comunque, ha dichiarato che lui appoggia il dispiegamento dei missili anti-missile - a patto che si dimostri che sono efficaci (il che non è del tutto certo).

Obama si trova di fronte a tanti problemi internazionali che la diplomazia da solo non può facilmente risolvere. Anzi, avvenimenti improvvisi come il conflitto fra la Georgia e la Russia produrranno ulteriori crisi internazionali.

Uno dei consiglieri di Obama sulla politica estera, Strobe Talbott, ha detto alla stampa: “ Voi avrete un’ amministrazione impegnata nella tradizionale politica internazionalista americana, qualcosa che manca da otto anni”. Tuttavia, come dimostrano gli esempi di Woodrow Wilson, Roosevelt e John F. Kennedy, predecessori di Obama, c'è sempre stato un abisso fra retorica e politica reale. Lo storico Paul Kennedy ha commentato che “ tutti queii grandi uomini di stato ‘internazionalisti’ hanno solo perseguito gli interessi ‘nazionali’ americani. (International Herald Tribune, 14 novembre 2008)

Il soft power è stato sempre utilizzato assieme al potere economico ed alla forza militare. Nel primo periodo della sua presidenza Obama disporrà senz'altro di un grande patrimonio di benevolenza internazionale. Può darsi che egli sia un rappresentante dell'imperialismo statunitense più intelligente e più flessibile del suo predecessore. Ma, alla fine, rappresenterà l'imperialismo statunitense e non esiterà a utilizzare il potere economico e la forza militare per salvaguardarne gli interessi.

La crisi economica e la sovraesposizione militare hanno indebolito l'imperialismo statunitense, ma esso rimane la potenza mondiale dominante e quando si troverà minacciato, non esiterà a intervenire spietatamente per difendere i propri interessi. Nonostante il suo carisma, Obama non sarà in grado di evitare lo scoppio di conflitti esplosivi che affondano le proprie nella crisi globale dell'imperialismo.

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