Referendum su pensioni e precarietà

Perché hanno vinto i "sì"

I dirigenti sindacali, il governo, la stampa e il padronato festeggiano tutti la vittoria dei "sì" nel referendum su pensioni e precarietà. Secondo i leader dei sindacati confederali, Cgil, Cisl e Uil, più di 5 milioni di lavoratori e pensionati hanno partecipato alla consultazione sul Protocollo, di cui l’82% ha votato "sì" e il 18% "no". Una "vittoria schiacciante", un "cappotto” hanno dichiarato i sostenitori dell’accordo.

Cosa festeggiano? La vittoria di un accordo che ci farà sgobbare di più prima di potere andare in pensione e che lascia intatto lo scandalo della precarietà. Come mai ha vinto i "sì"?

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Un risultato senza sorprese

In realtà l'esito della consultazione era scontato. Come ha detto un organizzatore sindacale al Corriere della Sera (l’8 ottobre): "Il referendum lo organizziamo noi, i risultati li diamo noi, vuoi che ci siano sorprese?" A chi si opponeva al Protocollo è stato negati il diritto di esprimersi. Nelle assemblee organizzate nei posti di lavoro per "discutere" l'accordo c'era solo un relatore che propugnava il "sì".

I pensionati, un quinto dei votanti secondo i dirigenti sindacali, hanno votato il 90% a favore di un "pacchetto" che non aveva niente a che fare con loro, ma che prolungherà la vita lavorativa dei lavoratori esistenti e cambierà poco o niente per i precari.

La maggioranza della stampa si è schierata a favore del Protocollo. "Se non vincono i sì, cade il governo" ha minacciato Epifani, segretariato generale della Cgil, su Repubblica. Benché la direzione di Rifondazione Comunista si fosse dichiarata contro il Protocollo, si è limitata a una opposizione parlamentare senza lanciare una campagna nei posti di lavori e nei territori per contestare la propaganda che proveniva dai dirigenti sindacali e dalla stampa.

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Un milione di "no"

Malgrado la procedura difettosa del voto e la valanga di propaganda a favore del Protocollo, un milione di lavoratori lo hanno bocciato. Il 53% dei metalmeccanici, che rappresentano il 50% dell'industria italiana, ha votato contro, nonostante la Fim e l’Uilm appoggiavano un "sì" (a differenza della direzione della Fiom). Nelle grandi imprese con più di 1.000 dipendenti la maggioranza ha votato "no”. Gli operai di Fiat e di Ferrari, le fabbriche di Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Confindustria, hanno detto palesemente "no". I consensi favorevoli, d'altronde, sono provenuti per la maggior parte dalle piccole aziende, dai posti di lavoro non sindacalizzati dove non si sono tenute le assemblee.

Nel corso delle assemblee, nelle grandi aziende il disagio degli operai è scoppiato: ciò dovrebbe smorzare il trionfalismo dei dirigenti sindacali. La "vittoria schiacciante" che essi elogiano è una vittoria per Confindustria e il padronato che vogliono la riduzione delle tasse a loro carico (concessa nella Finanziaria), una accelerazione delle privatizzazioni, il taglio della spesa pubblica e lo sfruttamento dei precari per far aumentare i propri profitti. Non è per caso che subito dopo l'annuncio dei risultati Epifani si sia rivolto a Montezemolo per ricevere i suoi complimenti.

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Una nuova stagione?

I leader della Cgil hanno promosso il Protocollo per far piacere al governo "amico", per prolungare la "concertazione" e per realizzare l'unità sindacale. I dirigenti del Partito democratico, appena nato, fanno pressing per un sindacato unico in grado di frenare il malcontento dei lavoratori e di aprire la strada al compimento del programma di Walter Veltroni, un programma identico di fatto a quello di Montezemolo.

"La Cgil è uscita cambiata da questo referendum" ha dichiarato Bonnani, segretariato generale della Cisl, "si apre una stagione di grande rinnovamento". È possibile che dopo la sua "vittoria" nel referendum la direzione della Cgil inneschi un attacco organizzativo contro l'autonomia della Fiom. Epifani afferma che non ci sarà "una resa dei conti", ma qualche segretario confederale si dichiara pronto a lanciare una caccia alle streghe contro i metalmeccanici, e soprattutto contro Giorgio Cremaschi che ha espresso chiaramente la rabbia degli operai.

Bisogna organizzarci per respingere qualsiasi attacco contro la Fiom. La campagna, promossa da Cremaschi per sindacalizzare le piccole imprese metalmeccaniche è imprescindibile per rafforzare la Fiom e migliorare le condizioni degli operai.

La lotta per l'unità sindacale dovrebbe svolgersi dalla base, nei posti di lavoro e nei territori. Dovrebbe essere una unità democratica e combattiva.

Bisogna rinforzare e consolidare l'opposizione che esiste all'interno della Cgil, allo scopo di democratizzare il sindacato e di eleggere una nuova direzione capace di esprimere il disagio dei lavoratori e di difendere loro interessi invece che gli interessi del padronato.

Un nuovo partito dei lavoratori

I sociologi e i commentatori scrivono che la classe operaia in Italia non esiste più. Walter Veltroni afferma che gli interessi dell'operaio e l'imprenditore non sono contrapposti. Il referendum ha dimostrato la falsità di tutte e due queste teorie. Nelle grandi imprese gli operai hanno annunciato ad alta voce la propria opposizione all'ordine del giorno neo-liberista del padronato. Un milione di voci che potrebbero essere il trampolino per il "rinnovamento" dei sindacati, un rinnovamento però a favore di un sindacalismo combattente, che potrebbe anche gettare le basi per la costruzione di un nuovo partito di massa dei lavoratori.

18 Ottobre 2007

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