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Nella seconda metà del mese di maggio abbiamo assistito a delle convulsioni nel sistema finanziario internazionale.
Subito dopo aver raggiunto quasi un nuovo picco, la quotazione delle azioni sono rapidamente cadute, specialmente nei cosiddetti mercati emergenti come l’India e la Tuchia. Prezzi di merci quali il rame che erano letteralmente esplosi negli ultimi mesi, sono precipitati anch’essi. In generale abbiamo assistito ad uno spostamento di flussi di capitali, speculativi prima di tutto, dagli investimenti rischiosi (anche altamente profittevoli) in direzione di investimenti verso risorse più sicure in particolare verso le valute e i bonds governativi.
In questo articolo Lynn Walsh (del Comitato per una Internazionale dei Lavoratori) esamina gli avvenimenti e rivela quanto sia instabile il sistema capitalista globale.
Economia Mondiale:
"Correzione" o crash?
Lynn Walsh, Socialist Party (CWI), 2 giugno 2006.
Si è trattato di una "correzione" temporanea di bolle speculative o una scossa preliminare che segna l’inizio di una crisi più profonda? Questo interrogativo ha iniziato a farsi strada tra i capi e i commentatori dei paesi capitalisti. Inizialmente i finanzieri temendo un crollo si sono liberati dei titoli rischiosi (raccogliendo i profitti grazie ai prezzi inflazionati dell’ultima fase) e hanno cercato rifugio in investimenti più sicuri.
Dopo qualche giorno, comunque, I prezzi dei titoli nei paesi capitalisticamente avanzati sono "rimbalzati". A New York, Londra e in altri paesi le azioni dei "mercati emergenti" come la Russia, la Turchia, l’India, il Messico, ecc. sono calati del 20-25%. Molte merci e i titoli delle compagnie minerarie, che fino a qualche tempo fa erano cresciuti a ritmi significativi sono crollati del 10% e forse più (anche se alcuni titoli si sono poi ripresi).
Questa voglia di liberarsi da alcuni titoli è apparso come l’immediato effetto della paura della crescita dell’inflazione negli USA, dove il "nocciolo duro" dell’inflazione (se si escludono I prodotti alimentari e il carburante) è cresciuto a un tasso del 3,2% rispetto al 2,5% del 2005. Dietro questa dinamica si nasconde il crescente timore che la banca federale statunitense risponderà alzando i tassi d’interesse ancora di più minacciando di mettere fine all’era del credito a buonissimo mercato.
Gli speculatori hanno ricominciato la loro frenetica ricerca di profitti. I capitalisti dovunque hanno tirato un sospiro di sollievo. Molti di loro, superficialmente, credono che le nuove tecnologie e la globalizzazione garantisca una crescita ininterrotta e la profittabilità relegando I crolli finanziari e le crisi economiche nella pattumiera della storia.
In realtà le turbolenze di maggio rivelano la fragilità dell’economia capitalistica globale, che funziona in modo anarchico Finora sembra essere stata più che altro un una correzione dopo febbrili investimenti in alcuni dei mercati più speculativi: titoli gonfiati nei "mercati emergenti", bonds spazzatura di aziende "volatili", prodotti industriali (come il rame), il petrolio, il gas e il commercio di valute straniere. Più o meno nell’ultimo anno, si sono sviluppate bolle speculative che si sono venute creando in tutti questi mercati e in primo luogo nel mercato immobiliare e nei hedge funds1.
Ma le turbolenze di maggio ha messo in luce il ruolo decisivo e parassitario del capitale finanziario che è per sua natura volatile e destabilizzante. Inoltre il rimbalzo dei mercati finanziari a partire dalla metà di maggio non aiutato in alcun modo a superare gli squilibri valutari e commerciali dell’economia mondiale.
Capitale speculativo
La crescita del capitale speculativo finanziario riflette l’intensificazione dello sfruttamento della classe lavoratrice nei paesi capitalisticamente avanzati ma soprattutto nei paesi sottosviluppati.
Le politiche neoliberali adottate dai governi a partire dai primi anni ’80 hanno fatto incrementare enormemente i profitti delle corporations e delle società finanziarie e allo stesso tempo accresciuto la quota di ricchezza che finisce nelle tasche della classe capitalista. Secondo la rivista Forbes vent’anni esistevano 140 miliardari in dollari mentre ora sono diventati 793 (102 sono entrati in questa speciale classifica solo nell’ultimo anno).
Mentre sono cresciuti significativamente gli investimenti in Cina e in un’altra manciata di paesi con forza-lavoro a basso costo non c’è stato un generale aumento di capitale investito in nuove fabbriche, macchinari, aziende, ecc.
Dal 2000 il capitale fisso nei paesi dell’ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, sono cresciuti solo al ritmo del 2% annuo, ovvero di meno della metà dei tassi degli anni Sessanta cioè negli anni del boom post-bellico.
Le compagnie finanziarie s’intascano il 30-40% del totale dei profitti realizzati in America (che sarebbero poi più del 50% se si includono le attività finanziarie delle aziende industriali e commerciali) in confronto al 10-15% dei decenni cinquanta e Sessanta.
Invece di investire nei mezzi di produzione i super-ricchi e le grandi corporations hanno intensificato la ricerca di profitti nel settore finanziario. La deregulation e la globalizzazione dei mercati internazionali ha procurato opportunità infinite di profitto. I superprofitti delle corporations e le ricchezze personali dei capitalisti hanno prodotto colossali bacini di liquidità.
Gli speculatori inoltre sono stati in grado di avvantaggiarsi dei crediti abbondanti e a bassi tassi d’interesse come per esempio è accaduto in Giappone negli anni ’80 e negli USA dopo il 2000, di tassi d’interesse gratuiti o quasi al fine di evitare crisi finanziarie e stimolare la crescita.
Gli enormi profitti e crediti assai vantaggiosi praticamente illimitati hanno prodotto la moltiplicazione di bolle finanziarie negli ultimi anni. Le bolle speculative nei mercati azionari degli anni ’90 negli USA ma anche in altre realtà sono state alimentate da tassi interessi bassissimi, come per esempio nel recente caso del settore immobiliare. Entrambe, alternativamente, hanno giocato un ruolo vitale nel sostenere la domanda dei consumatori producendo attraverso un "effetto ricchezza", la conversione – sulla base di un aumento dei prestiti – dei profitti da capitale basati sulla espansione della domanda.
Negli ultimi anni, gli investitori, grazie al flusso abbondante di liquidità, ed essendo alla ricerca disperata di nuove fonti di profitti aggiuntivi, hanno ridislocato gli investimenti laddove producevano dei ritorni mediamente superiori come nel caso dei titoli "blue chip". Lo stesso discorso vale per l’ondata d’investimenti nella speculazione sulle valute monetarie, nei "titoli-spazzatura", nei prodotti, nei titoli e nelle obbligazioni dei cosiddetti "paesi emergenti".
L’eccesso di investimenti in questi settori ha gonfiato enormemente il loro prezzo. Un flusso di investimenti stranieri in titoli del mercato borsistico indiano, per esempio, ha anche incoraggiato, per esempio, i capitalisti locali ad unirsi alla baldoria speculativa. Così, i prezzi delle azioni sono aumentati oltre qualsiasi stima razionale di quale profitto avrebbero potuto produrre.
La brusca caduta dei prezzi in maggio, quindi, ha rappresentato una inevitabile "correzione". Resta da vedere se i titoli delle borse di paesi come l’India (che sono stati ridimensionati del 25%) si riprenderanno, e di quanti speculatori e affaristi sono andati in bancarotta dopo le perdite precedenti.
La "correzione di maggio" ha reso i più importanti speculatori e le aziende di brokeraggio più caute, almeno per il momento. Ma le condizioni che sottostavano allo sviluppo della bolla speculativa non sono sparite e nuove bolle si svilupperanno fino a quando avverrà una più drastica correzione: ovvero un vero e proprio crollo.
Come si produrrà tutto ciò è ancora imprevedibile. In questo preciso momento, la produzione calcolata sulla base del PIL sta ancora crescendo. Il Fondo Monetario Internazionale ha previsto una crescita globale per quest’anno del 4,9%. Ma a parte gli effetti negative prodotti dall’aumento dei prezzi dell’energia e delle merci (che stanno iniziando ad avere effetti sulla crescita), la crescita attuale potrebbe essere rapidamente ridimensionata da nuove crisi finanziarie.
Tutto ciò potrebbe precipitare in un convulso riallineamento delle più importanti valute (dollaro, euro e yen), un avvenimento inevitabile in un prossimo, non così distante, futuro. Una crisi finanziaria, potrebbe anche essere la conseguenza di grandi società di brokeraggio o di molti attori del mercato finanziario.
Dato il grande ammontare di debiti su cui staglia l’intero sistema e la complessità degli strumenti finanziari che ne derivano (che sono stati definiti dal famoso investistore Warren Buffett come "armi di distruzione di massa"), bancarotte di grandi dimensioni sono da considerare inevitabili.
Nel 1998, in seguito la collasso del rublo russo, i fondi di blocco della Long Term Capital Management (LTCM) fecero bancarotta. L’effetto a catena a avrebbe potuto essere catastrofico. Una liquefazione sistemica dei mercati finanziari mondiali fu prevenuta solo da un operazione di salvataggio costata 3,6 miliardi di dollari condotta da un consorzio di banche coordinate dalla Federal Reserve Bank. Anche ora è più che probabile che delle bombe ad orologeria come la LTCM stiano preparandosi ad esplodere.
Gli squilibri commerciali e monetari
Il principale economista della Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, Jean-Philippe Cotis, ha salutato positivamente il terremoto di maggio come una correzione necessaria dopo una serie di investimenti rischiosi e sovrastimati. Ma ha puntualizzato che, malgrado ciò, i rischi per la crescita economica mondiale sono cresciuti.
La minaccia principale è rappresentata da uno squilibrio "senza precedenti" tra le economie in deficit (altamente indebitate) come gli USA e le economie con eccedenze (ricche di liquidità) come la Cina.
Contro tutte le regole delle economie capitaliste però il dollaro USA risulta essere una valuta forte e sopravvalutata (a causa del flusso di capitali verso gli States) mentre lo yuan cinese viene seriamente sottovalutato (lo yuan, infatti, è stato agganciato al dollaro a un tasso di cambio irrealisticamente basso).
Un brutale disvelamento di tali squilibri ,"mette in guardia Cotis, "potrebbe danneggiare l’economia mondiale…" (Financial Times, 24 maggio 2006)
Il rapporto instauratosi tra USA e Cina rappresenta l’elemento chiave dell’economia mondiale. I consumatori americani garantiscono un mercato indispensabile per i beni esportati dalla Cina così come dal Giappone dall’Sud Est asiatico ed altre aree. Ma i consumi americani dipendono pesantemente dal debito.
All’interno, nel momento in cui i guadagni dei lavoratori si sono ridotti, molti consumatori hanno cercato di conservare i loro standars di vita ipotecando le loro case. Ciò è stato reso possibile grazie al boom di prezzi degli immobili e da ipoteche a buon mercato.
Il prezzo delle case ha comunque ora rallentato la sua corsa e l’aumento continuo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve sta riducendo l’ "effetto ricchezza" della bolla immobiliare. Se i prezzi degli immobili stagnano o scendono e i tassi d’interesse cresceranno ancora di più, la domanda sarà severamente frenata.
Inoltre tassi d’interesse più alti , se combinati con l’aumento della disoccupazione, avranno un solo significato: che il livello degli attuali consumi e I debiti accumulate sulle carte di credito stanno diventando insostenibili.
Bassi tassi d’interessi sono stati il fattore chiave che hanno sostenuto la forza della domanda americana: ecco perché i capitalisti temono così tanto ora l’aumento dei tassi d’interesse come risposta all’aumento dell’inflazione (o la paura della Banca Centrale di un aumento dell’inflazione).
All’esterno, il capitalismo occidentale dipende anche dagli alti livello di debito. Gli USA consumano più di quanto esportino, importando invece grandi quantità di beni a buon mercato dalla Cina e da altri paesi in via di sviluppo. E la ipervalutazione del dollaro negli ultimi anni ha reso le importazioni ancora più economiche per i consumatori americani.
La banca d’investimento Morgan Stanley stima che I consumatori americani abbiano risparmiato più 600 miliardi di dollari acquistando il "made in China".
Importando assai più di quanto essi importano, gli USA hanno dovuto spietatamente aumentare il deficit della bilancia dei pagamenti. Nel 2005 il deficit della bilancia dei pagamenti era di 725 miliardi di dollari ovvero il 7% del loro PIL.
Questo perdurante deficit è stato finanziato da un afflusso di capitali negli USA. Una parte di questi capitali è stato affluire da capitalisti oltreoceano su aziende americane, titoli, ecc. Ma la copertura del deficit è dipeso sempre di più dall’acquisto di bonds americani da parte delle banche centrali di Cina, Giappone, Corea del Sud e di alcuni altri paesi (inclusi quelli produttori di petrolio) i quali hanno dei grandi surplus commerciali con gli USA.
Nel 2005 la Cina aveva un surplus commerciale con gli uSA di 201 miliardi di dollari e ne ha accumulate circa 1000 di cui tre quarti in dollari. Ovvero ancora di più del Giappone che ha riserve per 847 miliardi di dollari in valute straniere.
In realtà costoro hanno riciclato i dollari guadaqnati con l’export di nuovo nell’economia americana. Il motivo è evidente. Vogliono sostenere il mercato americano per le loro esportazioni.
La domanda americana
Un collasso della domanda americana avrebbe degli effetti disastrosi sulle economie orientate verso l’export, in special modo la Cina che a causa della povertà della sua popolazione, ha una capacità di assorbimento assai limitato.
Il flusso di liquidità verso gli USA hanno trasformato gli USA nel più grande debitore mondiale. Gli USA hanno ora un deficit di conto capitale con il resto del mondo di più di 2,5 trilioni di dollari. Se a ciò si aggiunge il deficit della bilancia dei pagamenti è insostenibile. Qualcosa dovranno pur cedere.
Finora gli USA sono stati in grado di risolvere questa loro condizione senza precedenti grazie alle loro dimensioni e alla loro potenza. Il dollaro si è rafforzato malgrado il ricorrente aumento del deficit grazie all’afflusso di liquidità (che ha reso I prodotti stranieri ancora più economici).
Questa dinamica permette alla Banca Centrale americana di tenere molto bassi i suoi tassi d’interesse garantendo crediti a buon mercato per il boom del mercato immobiliare e la formazione di altre bolle sia negli USA che internazionalmente.
Ciò ha anche permesso a Bsuh di finanziare il deficit del budget federale in maniera assai poco costosa (senza il bisogno di aumentare I tassi d’interessse). Con tassi d’interesse molto bassi, a differenza di quanto avvenuto in passato, non si produce un aumento dell’inflazione principalmente grazie alle manifatture sia cinesi che provenienti da altri paesi "in via di sviluppo" che hanno prezzi molto bassi.
Anche Greenspan ha compreso che i bassi tassi d’interesse rappresentano un paradiso che non potrà proseguire a lungo. Dopo il collasso della "bolla dot.com" nel 2000, la Federal Riserve ha tentato di "governare il declino" del dollaro. Questa manovra ha trovato le resistenze di Cina, Giappone, ecc. Perchè un dollaro più debole avrebbe significato uno yuan, uno yen e un euro più forti e ciò avrebbe toccato i livelli delle loro esportazioni verso gli USA. Comunque dopo una pausa nel 2005 il dollaro ha cominciato a perdere ancora.
Ciò pone un acuto dilemma per gli Stati che detengono grandi quantità di patrimonio in dollari (principalmente bond americani): le loro riserve rischiano perdere valore con lo stesso ritmo con cui perde valore il dollaro.
Se d’altro canto, essi iniziassero a vendere i loro patrimonio in dollari non farebbero altro che accelerare il declino del dollaro e patire di conseguenza perdite ancora più importanti.
Recentemente un certo numero di Stati, inclusa la Cina e un certo numero di paesi produttori di petrolio, hanno iniziato a spostare parte delle loro riserve in valuta straniera dal dollaro all’euro. Lo hanno iniziato a fare in modo cauto e senza dare troppo nell’occhio. Presto o tardi la vendita di dollari assumerò delle dimensioni significative vero valute più forti.
Tale tendenza, che come abbiamo detto è già iniziata produrrebbe delle reazioni a catena. Prima di tutto una riduzione del capitale che ora investito negli USA che forzerebbe il governo americano e la banca centrale a prendere delle misure a fine di ridurre la bilancia dei pagamenti e tagliare il deficit del governo federale.
Ciò significherà la riduzione dei consumi negli USA e una riduzione della domanda di prodotti da importare dalla Cina e dal resto del mondo.
Al fine di attrarre fondi che servono a finanziare il doppio deficit, la Federal Reserve Bank sarà costretta ad aumentare ancora di più i tassi d’interesse. Ciò metterà la parola fine al regime del credito a buon mercato, ovvero la base su cui poggia la recente crescita dell’economia mondiale.
Il declino del dollaro significherà il rafforzamento dell’Euro (come "hot money"2, riserve statali di valuta, ecc.). ciò aumenterà relativamente i prezzi delle merci esportate dalla euro-zone, colpendo la già fiacca ripresa economica ora in corso nel Vecchio Continente.
Se I tassi d’interesse americani aumentano, è probabile che i tassi in Europa, in Giappone e in altre realtà saranno costretti a seguirli al fine di prevenire una fuga di capitali verso attività con più alti tassi.
Tutte queste probabili tendenze avranno un impatto negative sulla crescita economica e la stabilità dei mercati finanziari. L’idea che è stata fatta baluginare da commentatori ottimisti è che la Cina, il Giappone, la Germania, ecc. possano sostituire gli USA come locomotive dell’economia sulla base dei loro mercati interni, perlomeno fantasiosa.
La bolla Dot.com
Dopo il collasso della bolla "dot.com" nel 2000-2001, abbiamo assistito a un periodo di crescita sostenuta dell’economia mondiale.
Allo stesso tempo, le contraddizioni che ne erano state alla base, specialmente quelle legate al non allineamento delle valute e agli squilibri commerciali, sono giunte a un punto di non ritorno.
La polarizzazione tra ricchi e poveri, nei paesi avanzati, semi-sviluppati e poveri, si sono acuite in modo grottesco, preparando il terreno per nuove esplosioni sociali.
L’idea, accarezzata da molti capitalisti e dai loro governanti, che ci possa ora essere una ribilanciamento graduale e governato di un’economia mondiale e estremamente sbilanciata, è solo un sogno compiaciuto.
Il capitalismo funziona guidato dalla spinta al profitto e dall’anarchia del mercato. Mentre un certo livello di cooperazione è di tanto in tanto possibile, è impossibile coordinare e pianificare il capitalismo allo scopo di pianificarlo ed eliminare i cicli di boom e crisi.
È vero che ora appare esserci una maggiore cooperazione tra le grandi potenze capitalistiche attraverso strumenti quali il Fondo Monetario Internazionale, la OECD, ecc. Tutte queste istituzioni sono d’accordo sul fatto che i livelli di vita dei lavoratori devono essere tagliati, tagliati e ancora tagliati per accrescere i profitti dei capitalisti.
Tuttavia essi restano degli stati nazionali con i loro propri interessi che quindi entreranno inevitabilmente in conflitto nel tentativo di proteggerli e scaricare i costi della crisi economica sui loro rivali. Per il momento la turbolenza di maggio potrebbe essere spacciata come una "correzione tecnica" di mercati surriscaldati. Ma tali eventi non avvengono isolatamente. Essi non possono essere separati dal corso contraddittorio che sta alle fondamenta del capitalismo mondiale.
Alcuni esperti di finanza hanno visto nella convulsioni di maggio la "eco del 1987", quando il crollo del 20% dei mercati azionari aprì la strada a una recessione prolungata che iniziò nel 1990.
Ma ci si potrebbe trovare anche di fronte solo a un tremore piuttosto che a un terremoto. Ma i tremori spesso precedono eventi che registrano degli shocks assai più profondi della scala Richter.
1 "Hedge fund" e' il termine usato di solito per descrivere quasiasi fondo che non sia un convenzionale fondo d'investimento, cioe' qualsiasi fondo dove si usi una strategia o si usino una serie di strategie diverse dall'investire in obbligazioni, azioni ordinarie (fondi comuni d'investimento a capitale variabile - mutual funds) e titoli di credito (money market funds).
2 Hot money é un gergo nei gestori di hedge fund, volto a definire capitali a breve termine che si possono spostare da un paese all’altro, inseguendo aspettative di maggiore guadagno sia in connessione dei differenziali di tassi di interesse, sia in relazione ad attese di rivalutazione del tasso di cambio.