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Sudan

Crisi in Sudan: opporsi all'intervento armato

La crisi a Darfur, nel Sudan occidentale, è stata riportata sui telegiornali e i giornali per settimane. I servizi giornalistici informano che circa 1 milione di persone sono state deportate e più di 50.000 uccise questo è il risultato degli attacchi condotti dalla milizia Janjaweed, appoggiata dal governo sudanese.

Certamente le immagini Tv e i servizi sono agghiaccianti, donne e bambini alla ricerca disperata di cibo e aiuti medici, e immagini di villaggi dati alle fiamme. Naturalmente molte persone internazionalmente vogliono fare qualcosa per risolvere questa emergenza unitaria.

Alla fine di Luglio Tony Blair disse di avere la “responsabilità morale di trattare con questo o con quello con tutti i mezzi disponibili”. Il Generale Jackson, capo delle forze armate britanniche, ha immediatamente confermato che questo avrebbe significato spedire truppe britanniche di nuovo in Sudan; questo era de facto una colonia Inglese fin dal 1956.

Le Nazioni Unite (NU) hanno dichiarato che in Darfur si sta sviluppando una crisi umanitaria e il Consiglio di Sicurezza ha approvato una risoluzione degli USA dove si fa appello al governo del Sudan a mettere fine alle atrocità delle milizie Arabe entro 30 giorni o sarà costretta ad altre azioni. Le due camere del Congresso degli USA hanno denunciato un “genocidio” in Darfur.

Dieci anni dopo il genocidio in Rwanda che è costato la vita di 800.000 persone i governi britannico e americano stanno dicendo che devono essere intraprese delle azioni per prevenire che accada qualcosa di identico. Improvvisamente, in un certo numero di paesi, enorme pubblicità è stata data alla terribile situazione in Darfur e c’è una crescente appello in favore dell’intervento.

Ma dopo l’invasione dell’Iraq sono sorti alcuni dubbi, specialmente in Africa e nei paesi Arabi, sul fatto che Bush e Blair stiano usando il Darfur per i loro cinici propositi. C’è anche nel sud dell’Africa una rinnovata possibilità che una guerra su grande scala possa scoppiare in Congo. Tre milioni di persone sono morte nell’ultimo scontro in Congo tra il 1998 e il 2000, ma Blair e Bush non hanno mai parlato di questo.

Sicuramente sia Blair che Bush vogliono ripulire le loro fedine “umanitarie” dopo la debacle in Iraq ma il loro intervento in Sudan avrebbe altri motivi. C’è il petrolio in Sudan, e a sud di Darfur le concessioni petrolifere sono attualmente nelle mani della compagnia China National Petroleum. Forse Bush e Blair sperano di poter mettere le mani su questo petrolio? Ci sono già segni di rivalità nella regione tra i due grandi poteri imperialisti e le truppe francesi che operano i Chad ai confini con Darfur.

Qualsiasi intervento in Sudan da parte della Gran Bretagna, degli USA, della Francia o delle Nazioni Unite sarebbe, in realtà, un ulteriore passo verso la virtuale ri-colonizzazione, ma questa volta non stabilendo una colonia formale ma installando un compiacente, regime pro-imperialista.

E’ probabile che l’Unione Africana invierà truppe da altri paesi Africani, ma queste forze agiranno per gli interessi dei paesi capitalisti che le hanno inviate e/o delle principali potenze imperialiste. Il cinismo di alcuni dirigenti Africani non conosce limiti.

Ad esempio il presidente della Nigeria Obasanjo ha richiesto l’intervento del governo Sudanese per fermare i combattimenti. Ma sembra ignorare il fatto che, a casa sua in Nigeria, almeno 10.000 nigeriani sono morti in conflitti etnici e 800.000 sono i rifugiati da quando Obasanjo è arrivato al potere nel 1999

Scelte dure

Cosa può essere fatto allora? Il sud del Sudan è stato sconvolto da guerre civili sin dal 1983 e in Darfur dal 2003. Qui il governo sudanese ha appoggiato la milizia Janjaweed contro l’Esercito di Liberazione del Sudan e il Movimento Giustizia e Uguaglianza che erano legati a uno dei suoi oppositori, il leader islamico Hassan al-Turabi.

Dato che le crisi in ogni paese naturalmente hanno le loro proprie caratteristiche generalmente le nazioni Africane si trovano ad affrontare delle scelte dure. Economicamente e socialmente i paesi Africani non stanno avanzando, invece sotto molti punti di vista stanno tornando indietro. Dal 1981 nell’Africa sub-sahariana è raddoppiato il numero di persone che tentano di sopravvivere con meno di un dollaro passando da 164 milioni a 314 milioni. Più di 500.000.000 di Africani vivono con meno di due dollari al giorno.

In questa situazione conflitti etnici,tribali e religiosi si svilupperanno dove non esiste un forte movimento dei lavoratori che possa offrire una via d’uscita attraverso una lotta collettiva contro il capitalismo. Questo significa che bisogna costruire un movimento unito dei lavoratori e dei poveri che possa prendere il potere nelle proprie mani e decidere del proprio futuro.

Ma molti, vedendo le terribili immagini provenienti dai campi profughi, si chiederanno perché tutto ciò possa succedere e cosa si dovrebbe fare adesso?

La crisi in Darfur offre un’altra opportunità ai media occidentali per presentare l’Africa come un continente in caos e dove gli stessi Africani si trovano senza aiuti e hanno bisogno di quelli dell’Occidente. Certamente l’eredità del colonialismo e il continuo dominio dell’economia mondiale da parte dell’imperialismo hanno portato a presentare l’Africa perennemente in crisi, ma questo non significa che non ci siano stati dei movimenti significativi da parte dei lavoratori africani.

Fino al 1970 il Sudan aveva uno dei più grandi Partiti Comunisti africani e del medio oriente. Tragicamente , le dirigenze non si sono spese per la mobilitazione dei loro sostenitori in una lotta per il socialismo. Al contrario preferivano allearsi con i vari gruppi di ufficiali dell’esercito, un politica che ha avuto come risultato delle massicce repressioni dopo un fallito colpo di stato militare (che avevano appoggiato) nel 1971.

Il movimento operaio internazionale in Sudan oltre a sostenere qualsiasi aiuto umanitario deve opporsi a qualsiasi intervento imperialista, sia che venga fatto sotto le bandiere britanniche, che sotto l’ ONU che dall’Unione Africana, e fornire il sostegno necessario affinchè vengano ricostruite le forze del socialismo.

L'attuale ciclo di guerre, povertà e fame che segnano il destino della popolazione dell'Africa sub-sahariana è il prodotto del peggiore sfruttamento imperialista. Le ferite che questo ha lasciato sulla popolazione del continente può iniziare solamente ad essere risolto attraverso il rovesciamento del sistema capitalista che le ha provocate e la creazione di una volontaria confederazione socialista di Stati africani.

Il Sudan è, geograficamente il più grande paese dell’Africa, è stato creato artificialmente dall’Impero Britannico a seguito della campagna di conquista militare di Kitchener tra il 1896 ed il 1898. Anche se la colonia era formalmente governata unitariamente dall’Egitto e dalla Gran Bretagna, lo stesso Egitto era sotto il dominio britannico, attraverso ufficiali inglesi che comandavano l’Esercito egiziano.

In Sudan l’amministrazione coloniale britannica aveva impostato il suo controllo mediante un “governo indiretto” che rivitalizzò i poteri degli sceicchi e dei capi tribù, una politica che rafforzò il tribalismo. Inoltre giocò la classica carta del “divide et impera”.

Durante gli anni ’20 gli inglesi, terrorizzati dal nazionalismo che cresceva in Sudan proveniente dall’Egitto si prepararono ad una possibile divisione del paese, introducendo una “Politica Meridionale” che inibiva i Mussulmani, mediante i “distretti chiusi” nei quali non potevano stabilirsi.

Il Sudan ottenne l’indipendenza nel 1956.

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