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Rifondazione Comunista

Bertinotti, riformismo o lotta per il socialismo?

Il giornale inglese “Guardian” l’ 11 agosto 2003 ha pubblicato un articolo di Fausto Bertinotti, dirigente del Partito della Rifondazione Comunista (Rc), che parla delle prospettive della lotta contro il capitalismo dopo il movimento di massa che ha manifestato contro la guerra in Iraq. Clare Doyle ha risposto con l’articolo seguente pubblicato su “Socialism Today” (N° 78), la rivista teorica mensile del Socialist Party inglese, affiliato al Comitato per un’Internazionale dei Lavoratori (CIL/CWI).

di Clare Doyle

Nota: Ne riportiamo la traduzione perché spiega in modo chiaro (anche se l'articolo risale a qualche mese fa) la nostra posizione all’interno di Rifondazione Comunista nei confronti della politica portata avanti dalla attuale maggioranza del Partito e i suoi prossimi sviluppi. (La redazione)

Il Partito della Rifondazione Comunista è nato più di una decina di anni fa da una scissione dal vecchio Partito Comunista Italiano, ora "Democratici di Sinistra" (DS).

Con una forza di circa 100.000 iscritti è stato il principale “nuovo partito dei lavoratori” ad emergere in Europa nel periodo seguente al collasso dello stalinismo.

Rifondazione è stata capace di attirare a sè l’appoggio di un considerevole strato di lavoratori e di giovani in Italia. In campo internazionale è diventato un punto di riferimento per molti comunisti e marxisti. Il modo in cui il partito si svilupperà è importante per il futuro – in Italia e altrove – e questo a causa del periodo tumultuoso di lotta di classe che è davanti a noi.

Rifondazione Comunista è stata alla testa del movimento anti-globalizzazione degli ultimi anni – che ha avuto degli importanti sviluppi ed è un terreno fertile per far radicare le idee del genuino marxismo. Il partito ha anche avuto un ruolo importante in numerose proteste di massa e scioperi in Italia durante gli ultimi due anni – contro le contro-riforme sociali ed economiche del governo Berlusconi e contro il suo appoggio alle guerre imperialiste in Afghanistan e Iraq.

Un partito rivoluzionario in Italia, di questi tempi dovrebbe propagandare la necessità di fare cadere il governo Berlusconi. Specialmente all’apice del movimento che ha portato allo sciopero generale della primavera del 2002, era importante mettere a punto l’idea di un governo alternativo – un governo fatto di rappresentati di quei milioni di lavoratori, giovani e persino strati di classe media al momento in contrasto con Berlusconi. (Vedi l’articolo “Italy on the march” in Socialism Today N° 64, aprile 2002).

Sfortunatamente, Rifondazione Comunista non è riuscita a tenere fede alle aspettative di molti militanti di diventare un chiaro punto di riferimento e una forza per il cambiamento socialista in Italia. Il disappunto da parte di molti membri o anche simpatizzanti, inizialmente attratti dal Partito, è dimostrato dall’alto turnover dei suoi iscritti – circa un terzo degli iscritti ogni anno non rinnovano la tessera, come riportato all’ultimo congresso.Rifondazione Comunista ha fallito il suo rafforzamento e radicamento, precisamente in un periodo di forte sviluppo della lotta di classe – generalmente il momento più favorevole alla crescita di un partito di sinistra.

Nelle sue analisi, nei suoi slogan e nelle sue posizioni politiche c’è molta confusione. Peggio, in alcuni governi locali, i suoi rappresentanti hanno partecipato insieme ai partiti del centro-sinistra nel mettere in pratica tagli e privatizzazioni richiesti dal governo centrale. Ora, all’interno del partito, alcuni settori sono critici per quanto riguarda la posizione presa da Bertinotti nel cercare un accordo programmatico di governo con l’Ulivo in preparazione delle prossime elezioni.

Un nuovo governo dell’Ulivo (probabilmente con a capo Romano Prodi, l’attuale presidente della commissione europea) verrebbe indubbiamente visto come una barriera contro gli attacchi portati avanti durante gli ultimi due anni da Berlusconi e il suo governo. Ma la leadership di Rifondazione deve rendersi conto che, proprio come è già accaduto nel 1996, tale governo di partiti essenzialmente capitalisti, che comprendono gli ex "comunisti" DS, deluderebbe ancora una volta il suo elettorato e porterebbe avanti nuovi attacchi alle condizioni della classe operaia italiana. Rifondazione in questo caso dovrebbe porsi a capo di una lotta contro il "centro-sinistra" sulla base di un programma con chiare richieste socialiste.

Il segretario di Rifondazione, Fausto Bertinotti, ha parlato "un nuovo ‘94" intendendo creare un movimento unificato contro gli attacchi alle pensioni che potrebbe fare cadere il governo Berlusconi. I leader sindacali stanno già promettendo scioperi generali per quest’autunno. Sono spinti a dire ciò dalla rabbia della maggioranza dei lavoratori e giovani contro il "Cavaliere" e la sua banda.

Tuttavia la politica di Fausto Bertinotti di perseguire un’alleanza con l’Ulivo, indica come la leadership di Rifondazione abbia abbandonato la prospettiva di lottare per un genuino programma marxista. Non senza critiche all’interno del partito, la leadership ha tenuto sotto tono gli aspetti socialisti e comunisti della politica del partito. La leadership si è accodata alle masse, un po’ confuse e generiche, del movimento antiglobalizzazione al quale ha dato ampia attenzione.

Mancanza di chiarezza

Tutte queste debolezze sono confermate da un articolo di Bertinotti sul “The Guardian” dell’ 11 Agosto 2003. Esse derivano da una comprensione inadeguata degli eventi accaduti in Unione Sovietica e nell’Europa Orientale – eventi che hanno portato alla nascita del partito ma che i suoi leader non hanno mai completamente spiegato.

Il movimento contro la globalizzazione capitalistica ha avuto, indubbiamente, uno sviluppo impressionante nel periodo recente, coinvolgendo nuovi strati importanti, specialmente di giovani. Ma è un errore vederlo come "la risorsa principale” a disposizione per costruire una nuova alternativa di sinistra, come dice Bertinotti. Ci sono degli aspetti negativi su come i leader del movimento si accostano al problema, di cui lui non parla. In più, Bertinotti, è molto pessimista quando parla della classe lavoratrice in Italia ed in Europa.

Dicendo: "Lo spazio per le riforme si è chiuso", sembra fare un passo avanti. Ma dopo non trae le giuste conclusioni. In pratica non è che le riforme non siano possibili, ma al contrario la lotta per le riforme pone la richiesta di una lotta per cambiare la società. Bertinotti cita Giorgio Ruffolo, un ministro del precedente governo di centro-sinistra, che fa ricadere la colpa per la sconfitta della "sinistra riformista" su alcuni ineluttabili processi della globalizzazione, con i quali "il capitalismo ha vinto una battaglia storica".

Bertinotti non spiega perché la globalizzazione capitalista abbia avuto apparentemente successo nell’imporre "una flessibilità imprudente, ineguaglianze estreme e la fine di nicchie sicure". Non c’è menzione degli effetti del collasso dello Stalinismo – l’offensiva ideologica contro il marxismo e l’azione collettiva e l'errore dei dirigenti sindacali di non rompere con coloro che, a capo dei tradizionali partiti dei lavoratori, sono passati dalla parte del capitalismo.

Il leader di Rifondazione chiude la porta alla possibilità di ottenere persino delle riforme parziali. La sola conclusione di Bertinotti è che la lotta dei lavoratori per riforme parziali è inutile. Ma i Marxisti hanno sempre collegato la lotta per difendere le conquiste passate e ottenere delle vittorie parziali, con la necessità di porre fine al dominio del capitalismo. Fintanto che il capitalismo continuerà ad esistere, le riforme reali potranno essere ottenute solo da azioni di massa. Infatti, molte riforme e cambiamenti nelle politiche dei vari governi si sono ottenute come prodotto dell’azione di movimenti quasi rivoluzionari.

Questo riguarda anche la guerra e i movimenti contro la guerra. Nel caso della guerra in Vietnam, si avrebbe avuto bisogno di azioni con carattere di sciopero generale per scuotere la decisione governativa di andare in guerra e persino tale azione sarebbe stata insufficiente. Un tale sciopero non può essere semplicemente dichiarato; esso deve essere preparato e collegato ai reali bisogni dei lavoratori.

In relazione al movimento, per cercare di fermare l’imperialismo USA dall’attacco all’Iraq quest’anno, Bertinotti parla dei 100 milioni di persone che hanno manifestato in tutto il mondo il 15 Febbraio. Il Guardian sostiene che erano 30 milioni. In ogni caso, queste magnifiche proteste indicano il carattere di questo movimento, in grado di sconvolgere il mondo. "Ma la guerra è stata condotta lo stesso", dice Bertinotti, "senza che le forze che l’hanno voluta pagassero alcun prezzo fino ad ora". Ma non dà alcuna spiegazione del perché la guerra sia andata avanti e nessuna menzione dei suoi pericolosi sviluppi – non solo per l’Iraq ma anche per Bush e Blair.

Le proteste, anche di massa, non sono da sole sufficienti a fermare le guerre. E’ stato anche successivamente rivelato che il governo Blair poteva anche essere fatto cadere al tempo delle forti proteste contro la guerra. In Aprile ha detto al giornale “The Sun” che, prima del dibattito parlamentare del 18 Marzo, aveva istruito gli addetti del governo a “preparare le sue dimissioni”. Che ripercussione avrebbe avuto questo sulla posizione di Bush? Persino ora, con i sondaggi elettorali che lo danno per perdente, Bush in risposta al suo appello per l’aiuto nella "ricostruzione" del paese occupato ha ricevuto un silenzio di ghiaccio all’Assemblea delle Nazioni Unite.

Eccessivo pessimismo

Solo quando sono posti di fronte a una sfida diretta ai loro interessi di classe, i capitalisti fanno maggiori concessioni che, peraltro, tendono a ridurre alla prima occasione.

Lo Statuto dei Lavoratori e la scala mobile in Italia sono stati il risultato delle grandi lotte politiche di più di 30 anni fa. La scala mobile è stata persa, ma persino ora, a più di due anni dall’attacco del governo Berlusconi all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – che protegge parzialmente i lavoratori dai licenziamenti “senza giusta causa” - esso rimane in vigore. Ma questo non si legge chiaramente dall’articolo di Bertinotti. Eppure scrive che “c’è stata una mobilitazione di massa contro i licenziamenti ingiustificati. E abbiamo perso”. Non spiega ai lettori inglesi ,che non conoscono la realtà italiana, che la sconfitta si riferisce al tentativo di estendere, tramite referendum, l’art. 18 ai lavoratori delle imprese con meno di 15 dipendenti.

Non spiega neanche la natura di questa campagna – intraprendere una raccolta firme per andare al referendum – e non esamina se questa è stata la migliore azione per il Partito (ed alcuni sindacati) al culmine del movimento per lo sciopero generale che stava iniziando a mostrare le capacità di lotta della classe lavoratrice. Petizioni e referendum non sono, comunque, dei terreni facili ,sui quali lottare, per i partiti dei lavoratori e per i sindacati, specialmente quando le televisioni e i giornali sono controllati dal primo ministro stesso!

Bertinotti non spiega neanche, almeno qui, il ruolo giocato dai politici del centro-sinistra nel fallimento del referendum e, in particolare, quello di Cofferati, l’ex-leader sindacale. L’uomo visto come il principale protagonista dell’ultima lotta di massa (che ha visto scendere in piazza 3 milioni di lavoratori a Roma e i massicci 12 milioni nello sciopero generale ) si è schierato, come quasi tutti i leader del centro-sinistra, per l’astensione.

L’Art. 18, non è stato esteso, ma non è neanche stato abolito. Il fatto che i padroni continueranno a cercare ogni modo possibile per aggirare questa legge e continueranno a cercare il supporto parlamentare per misure atte a ridurre il potere dei lavoratori, porta soltanto alla conclusione che è necessaria una campagna incisiva contro i leader "riformisti" che bloccano la strada delle riforme.

Il leader di Rifondazione vede la sconfitta ovunque. In Francia, dice, “dopo le maggiori lotte, il governo Raffarin sta portando avanti gli attacchi al sistema pensionistico. In Germania, per la prima volta in 50 anni, la IG Metall pone fine ad uno sciopero … senza ottenere alcun risultato”. Eppure quest’autunno si potrebbe vedere un rinnovato movimento di sciopero in Francia simile a quello del ‘95-‘96 che fece cadere il governo Juppé. E in Germania, egli non riconosce la rabbia crescente dei lavoratori tedeschi contro il programma Agenda 2010 del governo delle “riforme” del mercato del lavoro e del welfare. Invece i governi capitalisti di questi paesi lo vedono. Perché allora sfidano la Commissione Europea e rompono proprio adesso il limite di deficit imposto dal “patto di crescita e stabilità” dell’Unione Economica e Monetaria?

Ma, l’articolo continua, “la destra ha vinto in tutto il mondo perché ha un’egemonia strategica”. Come se non ci fosse nessuna possibilità di rinnovamento del movimento dei lavoratori. E quanto è forte questa destra? L’ostilità verso i capitalisti è generalizzata. Essa è stata persino vivamente espressa nel modo in cui i lavoratori e giovani svedesi hanno votato nel recente referendum sull’Euro. La vittoria del “NO” non è certo stata né un voto per la destra, né a favore del “business” o un voto nazionalistico (come ha affermato Larry Elliot in The Guardian, che scrisse “in Svezia, l’opposizione all’Euro viene principalmente dalla sinistra, non dalla destra.” (22 Settembre). Lo stato sociale in Svezia, costruito dai precedenti governi Socialdemocratici è ora sotto attacco. Coloro che hanno votato contro l’Euro, si sono opposti all’attuale governo Socialdemocratico a causa dei suoi tentativi di smantellamento dello stato sociale costruito dai passati governi Socialdemocratici! L’idea che il neoliberismo o il sistema capitalistico non possano essere seriamente attaccati, e in talune occasioni sconfitti, è totalmente sbagliata.

Il ruolo decisivo dei lavoratori

I lavoratori e i giovani italiani hanno dimostrato in continuazione, specialmente negli ultimi due anni, che sono preparati alla lotta. Hanno intuito che possono vincere, ma i loro “leader” hanno fallito nel compito di “incanalare” la loro rabbia e le loro energie in una sfida diretta al governo dei padroni di Berlusconi. I leader sindacali sono stati trascinati dal movimento, e si sono prodigati a dire che non sono interessati a far cadere “un governo democraticamente eletto”. Ma, quando un tale governo agisce contro la maggioranza di una nazione, non solo è giusto ma è vitale unire le lotte dei lavoratori per preparare le condizioni per un cambiamento del governo. Questo può includere la forma elettorale o altro.

Persino in Gran Bretagna con la sua lunga tradizione di organizzazione sindacale e di lenta evoluzione, i leader sindacali si sono trovati nei primi anni ’70 alla testa di grandi battaglie che hanno preparato la strada per la caduta del governo di destra dei conservatori (“Tory”). Il primo ministro dell’epoca, Edward Heath, fece una campagna elettorale con questo slogan: “Chi guida il paese : i sindacati o il governo?” e perse!

Né il crollo dello Stalinismo, né l’apparente trionfo della globalizzazione capitalista hanno distrutto la classe lavoratrice o il suo ruolo decisivo nella società. Essa è il principale veicolo nella società per portare avanti riforme reali, porre fine alle guerre e persino a sconfiggere il capitalismo stesso. In Italia si è rivelato chiaro nei due anni passati che i “battaglioni forti” della classe lavoratrice, pur calati di numero, mantengono sempre un peso decisivo. I metalmeccanici sono alla testa di quasi ogni sciopero e portano un tangibile segno di potere ai partecipanti, sia giovani sia vecchi.

Malgrado ciò, nel suo articolo Bertinotti appare come se negasse la centralità della classe operaia. Invece parla di “partire dalla fonte principale disponibile, che è il movimento contro la globalizzazione capitalistica”. Mentre è corretto dare il benvenuto allo sviluppo del movimento anti globalizzazione, è sbagliato permettere che esso oscuri il ruolo vitale della classe operaia. Bertinotti parla della necessità di “una ricostruzione dell’agente del cambiamento: una ri-definizione della classe operaia”. Ma cosa significa ciò se non sottostimare il ruolo tradizionale della classe operaia per la trasformazione socialista della società? Egli sembra anche sottostimare l’importanza dei partiti e dei programmi rivoluzionari o socialisti e ancora preferisce non menzionare il socialismo, neanche come obiettivo. Parla della necessità, "in confronto con l'estremismo di destra, di un’alternativa: di pace contro la guerra e di un nuovo modello di società contro il neo-liberismo. Questo non significa un programma dettagliato o unità tra le forze politiche esistenti".

L’articolo del Guardian esalta le virtù del movimento anti-capitalista e le “nuove embrionali istituzioni democratiche” che si fanno largo: i Social Forum, sperimentazioni di autogoverno, democrazia partecipativa ecc. Facendo ciò, il leader di Rifondazione sembra anche voltare le spalle alle forme democratiche portate avanti da secoli dal movimento dei lavoratori stesso nella lunga storia della lotta di classe. C’è stata la Comune di Parigi del 1871, i consigli degli operai dei contadini e dei soldati (o Soviet) nella Rivoluzione Russa e la “Democrazia dei Consigli” di fabbrica e di sciopero. Richiedere l’elezione di rappresentanti dei lavoratori, sottoposti alla revocabilità in qualsiasi momento e che non guadagnino più di un lavoratore specializzato, è un compito importante per i partiti marxisti - in relazione alla democrazia parlamentare, sindacale, nei luoghi di lavoro e nei governi locali.

Nelle lotte recenti dei lavoratori e dei giovani contro Berlusconi, Rifondazione avrebbe dovuto iniziare una campagna per la formazione di Consigli o Comitati d’azione per la preparazione dello sciopero generale e per la discussione dei compiti attuali. I comitati rappresentativi sarebbero eletti dalle assemblee nei posti di lavoro e nei quartieri ed unirsi sia a livello regionale che nazionale.

Bertinotti, che viene dal sindacato, ma con credenziali comuniste dovrebbe capire che, come disse Lenin: “Comitati come questi sono forse i più democratici di tutti !”. Essi sono vitali non solo per condurre le lotte contro i padroni e i governi ma anche per equipaggiare i lavoratori, i giovani e i poveri con l’esperienza necessaria per creare il controllo dei lavoratori e la direzione democratica dei lavorati in una futura società socialista.

Bertinotti è critico sul lavoro dei sindacalisti italiani ma non spiega le loro azioni (o non-azioni) e i loro tentativi di stancare il movimento – gli sciopero di due, quattro oppure otto ore, alcune volte ‘articolati’ in regioni diverse, e molto spesso dilazionati nei mesi. Rifondazione, che ha ancora un appoggio dei lavoratori e dei giovani, non indica nessuna strategia per la vittoria o una vigorosa campagna per preparare scioperi generali di durata più lunga e una maggiore determinatezza che potrebbero cacciare il governo Berlusconi.

Dove è il programma di Rifondazione per combattere contro i tagli e le privatizzazioni? Lotta per la proprietà pubblica delle banche, delle grandi industrie (FIAT,ALITALIA,PARMALAT ecc.) e per la pianificazione democratica di tutte le risorse? Se si, perché non lo si dice nel suo programma?

Reti e partiti

Bertinotti sostiene che il "movimento dei movimenti" abbia “sfidato la forma-partito... proponendo invece la nozione di reti e connessioni di gruppi, associazioni, partiti e giornali”. I Marxisti non si oppongono a nuovi metodi d’organizzazione e di coordinamento. Tra le nuove generazioni di militanti c’è un sano rifiuto di metodi di dirigenza dall’alto, burocratici e stalinisti. Molti di loro si oppongono al concetto di partito o di partiti. Ma mentre ciò è comprensibile, è sbagliato dare un qualsiasi credito all’idea che una rivoluzione (la totale trasformazione della società su basi socialiste) possa essere portata avanti senza un Partito Rivoluzionario capace non solo di discussioni complessive ma anche d’azione decisiva e unita. Le Reti e i Social Forum sono utili. Ma essi non possono sostituire un Partito Socialista Rivoluzionario che abbia: idee chiare, la capacità di prevedere le linee principali degli eventi e con un programma di richieste socialiste per far avanzare il movimento dei lavoratori.

"I sindacati europei hanno deciso di non chiamare la gente a uno sciopero generale contro la guerra", scrive Bertinotti, come se essi potessero semplicemente, dopo decenni di “pace sociale”, accendere la rivolta di massa. Tale azione richiede una seria preparazione e mobilitazione. I leader sindacati, che in maggioranza prediligono la “concertazione” con i padroni, non hanno avuto né la convinzione, né la volontà di organizzare tale sciopero.

Bertinotti non è critico nei confronti del movimento antiglobalizzazione. Non indica che la composizione di classe di questo movimento è mista e il fatto che molti dei suoi leader difendono il capitalismo (“dal volto umano”) piuttosto che opporvisi. Egli stesso indica, tuttavia, che nel movimento antiglobalizzazione si possa sviluppare “la tentazione a fuggire dalla politica”. Come si può contestare questo senza spiegare il bisogno del Partito rivoluzionario? I capitalisti sono ben organizzati per sconfiggere le lotte dei lavoratori, arrivano persino al punto di tenere molti sindacalisti in pugno. Parole su una ipotetica “alternativa di sinistra europea (che) possa trovare la sua strategia solo con il movimento antiglobalizzazione” non sono adeguate a questo scopo.

Ora che le maggiori riforme sono messe fuori discussione, Bertinotti avverte, come se avesse scoperto l’acqua calda, che “le forze della Sinistra Europea non possono dipendere dalla Socialdemocrazia”. Come dimostra l’esempio svedese, la socialdemocrazia in Europa non rappresenta più una forza riformista di sinistra. Sono diventati “partiti delle contro-riforme”. Ma la soluzione che propone Bertinotti (che “essi devono adottare un’iniziativa unita e radicale”) non fa menzione di socialismo o comunismo.

Bertinotti finisce il suo articolo con un avviso che: “Non solo le prospettive per la sinistra e il movimento anti-globalizzazione, ma addirittura l’esistenza dell’Europa come un’entità autonoma è a rischio”. Questo forse significa che vuole difendere non solo il capitalismo italiano ma anche quello europeo dalle usurpazioni dell’imperialismo USA? Noi speriamo di no, ma il Segretario del Partito della Rifondazione Comunista, deve contrapporre al riformismo la più chiara politica e pratica marxista, per sfruttare pienamente i vantaggi di una situazione favorevole alla costruzione di un partito rivoluzionario.

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