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Israele/Palestina

5 Novembre 2004

Arafat e la lotta palestinese

Appena è stato informato che il leader palestinese Yasser Arafat era gravemente ammalato, il primo ministro israeliano Ariel Sharon si è preoccupato di poter essere accusato della sua morte se non avesse acconsentito al trasferimento di Arafat dalla città assediata di Ramallah, a Parigi, per le cure.

Sharon ha avuto paura del fatto che se Arafat fosse morto improvvisamente, le masse palestinesi avrebbero organizzato delle manifestazioni di massa che sarebbero state difficilmente controllate dall’Esercito israeliano.

Sharon si troverebbe ad affrontare anche il dilemma di dove seppellire Arafat, un problema che da solo potrebbe provocare enorme agitazione. Arafat aveva espresso il desiderio di essere sepolto a Gerusalemme, mentre Sharon ha dichiarato che non avrebbe permesso di seppellirlo in nessun posto della città santa.

Essendo riuscito ad ottenere il piano per il disimpegno dalla striscia di Gaza, dalla Knesset (il parlamento israeliano), Sharon potrebbe fare a meno di questi nuovi, e potenzialmente esplosivi, fattori che vengono alla ribalta. L’autorità di Arafat, inoltre, è diminuita tra i palestinesi negli ultimi anni, viene visto più come una figura paterna e un simbolo della loro lunga lotta. Egli fu il fondatore del movimento Al-Fatah, che ha condotto una politica di guerriglia contro l’occupazione israeliana dal 1965.

Tornò a Gaza nel 1994, per dirigere la nuova Autorità Palestinese, come risultato delle negoziazioni nel trattato di pace di Oslo. Ma il fallimento di quel trattato, ed ora la cruda esperienza della seconda intifada degli ultimi 4 anni, ha condotto ad una certa disillusione e alla rabbia contro lui.

L' AP agli occhi degli stessi palestinesi è corrotta, in quanto utilizza i soldi che l'UE ed altri paesi inviano per le infrastrutture, per arricchire se stessa. L'AP è screditata anche per il fatto di comportarsi come poliziotto dello stato israeliano, e per il fatto di non riuscire a portare avanti la lotta contro la repressione israeliana.

Nonostante le debolezze di Arafat, un elemento di dolore scaturirà dalla disperazione per il fatto che non c’è attualmente un sostituto del leader palestinese al momento che abbia lo stesso carisma per giocare il ruolo dell’unificazione e per guidare la lotta. Una parte dei palestinesi ha cercato di sorvolare sulle mancanze di Arafat condannando la cricca intorno a lui piuttosto che Arafat stesso. Inoltre Arafat ha attirato su di lui una forma di rispetto per come ha saputo sopportare tre anni di confino a Ramallah. Ciononostante, Arafat fa parte di quella ricca elite pro-capitalista dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Non ha mai avviato la formazione di strutture democratiche basate sulla classe lavoratrice che avrebbero potuto permettere delle azioni di massa difensive e offensive, non ha mai rivendicato un programma per favorire gli scopi dei palestinesi. Ma è proprio solo su queste basi che si può ottenere la fine dello spargimento di sangue e della repressione.

Negli ultimi anni è cresciuta la lotta interna ad Al-Fatah, cosi come dentro e vicino all’OLP e nelle altre organizzazioni politiche e nelle milizie armate. L’equilibrio delle forze è in continuo mutamento, con Al-Fatah che perde terreno nei confronti dell’organizzazione islamica di Hamas, dato che proprio quest’ultima è vista come l’avanguardia della lotta contro i furiosi attacchi dell’esercito israeliano.

Le elezioni municipali nei territori occupati sono programmate verso la fine dell’anno (ma non è sicuro che avranno luogo). Tuttavia, temendo il calo del sostegno per Al-Fatah, Arafat ha limitato il primo turno di queste elezioni solo a 36 autorità locali delle 180 che esistono.

La lotta interna – specialmente dentro Al-Fatah – crescerà se Arafat dovesse morire. Ma questo non significa che lo scenario più probabile possa essere una guerra civile come predicano alcuni giornalisti. Di pari passo con la lotta interna c’è stata però una tendenza, contro la violenta repressione israeliana, verso la collaborazione tra le differenti milizie, sia islamiche che laiche. Ci sono anche piani per un nuovo consiglio palestinese che comprenderà le principali organizzazioni, compresa Hamas.

Tuttavia, nessuna di queste organizzazioni propone una via d’uscita dalla terribile povertà e dallo spargimento di sangue. Quello di cui c’è bisogno soprattutto, è un nuovo partito di massa, costruito dal basso, che rappresenti gli interessi delle masse dei lavoratori palestinesi, dei disoccupati e dei piccoli coltivatori.

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